28 aprile 2011
Presso la chiesa di Maria Regina Pacis si è svolta la veglia di meditazione e di preghiera per il lavoro promossa per tutta la città di Milano in prossimità della festa del lavoro del primo maggio.
Pubblichiamo i testi che hanno accompagnato la celebrazione.
Il tema proposto della veglia per il lavoro 2011 è espresso in una domanda: “il lavoro è per l’uomo?” . La risposta sembra ovvia, non può che essere positiva perché, come ci ricorda Giovanni Paolo II nella Laborem exercens, è l’uomo la misura, il metro del lavoro.
La condivisione della risposta è importante, ma comunque ci obbliga a leggere oggi e con attenzione la situazione del lavoro, per fare in modo che questa affermazione positiva si possa poi tradurre in impegno e responsabilità personale, sociale e politica per la sua concreta realizzazione.
La situazione del mercato del lavoro nell’area milanese, e in particolare nella città di Milano, è descritta nei rapporti della Provincia di Milano, dell’osservatorio privilegiato costituito da Cgil Cisl Uil milanesi e da Assolombarda, ma è possibile anche verificarla nell’esperienza quotidiana di ascolto e confronto con tante persone. Non voglio però qui presentare un insieme di numeri e dati, ma cercare invece di comprendere le linee di tendenza, i problemi e anche le risposte che in parte si stanno già manifestando.
La crisi economica e finanziaria, diventata poi crisi industriale e sociale, che ha colpito anche il nostro territorio, non è ancora avviata a soluzione: a periodi di apparente ripresa si alternano ricadute anche pesanti verso la stagnazione, spesso con effetto deprimente su chi intravedeva con speranza delle possibilità e si ritrova proiettato in un apparente vicolo cieco. Questa constatazione ci aiuta a comprendere che è andato profondamente in crisi il modello basato su finanza e economia monetaria, che si è rivelato inadatto a produrre sviluppo e opportunità per ciascuno e per tutti: ha anche inciso significativamente sui meccanismi di solidarietà sociale, con la conseguenza di rendere più sole le persone che già erano in difficoltà, ne ha anzi allargato la platea.
Può sembrare una riflessione sui massimi sistemi, ma è invece importante se si vuole cercare di cogliere i cambiamenti, di progettare un nuovo modello di sviluppo che vada oltre la pura contingenza e sappia offrire prospettive ad ogni persona che lavora o cerca lavoro, prospettive per cui vale la pena di mettersi in gioco.
Un primo elemento di conferma è rappresentato dalla crisi delle imprese nel territorio milanese, crisi numerica con una crescente riduzione della loro consistenza quantitativa, con conseguente contrazione dei posti di lavoro e potenziale e crescente disoccupazione. Si tratta di una crisi che si può fare risalire già ad alcuni anni fa, accentuatasi nell’ultimo periodo, con il coinvolgimento non più e non solo del settore industriale e manifatturiero, ma anche di altri prima meno colpiti: le costruzioni, il commercio, i servizi, i trasporti, le comunicazioni, con riduzioni annuali del numero di imprese che variano tra l’1 e il 2%. Reggono ancora i servizi alle imprese e alla persona, ma con capacità di riassorbimento della manodopera espulsa dagli altri settori sempre più ridotta.
Un secondo elemento che conferma sia la crisi delle imprese sia l’andamento un po’ ondivago della situazione lo riscontriamo nei dati della cassa integrazione: dopo la consistente crescita dell’ultimo trimestre 2010, soprattutto per quella ordinaria, si è avuto un deciso calo nei primi mesi del 2011, seguito dalla recente ripresa della cassa integrazione straordinaria. Si potrebbe leggere l’insieme di questi dati come frutto del tentativo di rimanere sul mercato da parte di molte imprese che hanno riorganizzato la loro attività, la loro produzione: la scelta ha consentito di salvaguardare un certo numero di posti di lavoro, una parziale ripresa di assunzioni negli ultimi mesi, ma ha contestualmente portato all’espulsione di lavoratori che non hanno trovato modo di ricollocarsi. E’ decisamente aumentata la disoccupazione maschile, diminuisce sempre più quella giovanile (con un tasso ormai al di sotto del 30%), rimane stabile l’occupazione femminile, intorno al 60%: ognuno di questi dati merita però una spiegazione. La crescente disoccupazione maschile ha la sua origine nella crisi dell’industria e non riguarda solo le qualifiche operaie ma anche quelle impiegatizie; l’occupazione giovanile di questo ultimo decennio è stata caratterizzata soprattutto dai cosiddetti contratti atipici, che sono stati i primi ad essere “cessati” nel momento della crisi; la stabilità dell’occupazione femminile è stata mantenuta pagando però spesso un prezzo rilevante sia rispetto alla qualità delle prestazioni professionali sia per quanto riguarda il prevalere di forme di lavoro prevalentemente precarie e a tempo.
Nell’insieme questi dati rendono evidenti tre elementi, che in parte rappresentano una certa novità, del mercato del lavoro milanese, e che sono parzialmente conseguenti l’uno dell’altro.
Il primo è il crescente divario tra le richieste, anche in termini professionali, di chi domanda e cerca lavoro, e le offerte di lavoro disponibili sul mercato: queste ultime sono sempre meno qualificate e specializzate, il che è il secondo elemento, e trovano origine soprattutto nel settore dei servizi, pulizie, commercio tradizionale, trasporto merci. La crescente o stabile mancanza di opportunità di occupazione crea una maggiore concorrenza in questi settori, concorrenza tra italiani e stranieri, concorrenza tra adulti, giovani e donne. I limiti profondi di tale concorrenza, in buona misura anomala, sono una qualità del lavoro che sicuramente non aumenta, anzi; e la notevole diminuzione della possibilità di una ricollocazione lavorativa al di fuori di questi ambiti. Un esempio, se si vuole anche banale, per spiegare meglio: fino ad alcuni anni fa, i cosiddetti pony express che consegnano la posta in città erano soprattutto giovani, che si guadagnavano così il primo stipendio e cercavano di entrare nel mondo del lavoro. Oggi ci sono adulti che creano concorrenza per questo tipo di attività: però, la possibilità che per loro questo rappresenti un trampolino per lavori diversi è notevolmente ridotta rispetto a quella offerta ai giovani. Una precisazione: il lavoro a Milano non è tutto nelle imprese di pulizia, ci sono richieste per prestazioni decisamente qualificate, dove la concorrenza si riduce notevolmente per mancanza di addetti, che sono proposte soprattutto con formule di tipo professionale, anche se spesso si tratta di lavoro subordinato mascherato. Questa situazione, ed è il terzo elemento, riguarda in particolare la classe media lavoratrice, se così si può definirla, quella impiegatizia, spesso con un trasferimento di responsabilità di natura imprenditoriale che non ha molto fondamento: quando poi si tratta di adulti, le possibili conseguenze in termini di instabilità occupazionale a medio periodo sono rilevanti.
Per concludere questa breve analisi, si possono molto schematicamente aggiungere queste ulteriori sottolineature:
Il mercato del lavoro nell’area milanese, ma in genere in Italia, non funziona molto bene perché non riesce a fare incontrare le esigenze e le opportunità tra domanda e offerta di lavoro, accontentandosi di una funzionalità giocata più sui costi che sulla qualità;
Prevalgono infatti le forme di assunzione atipiche, con le collaborazioni che rappresentano oltre il 25% dei nuovi contratti; chi cerca lavoro è avviato ad una attività più volte nel corso di un anno; i giovani raggiungono la possibilità di un lavoro stabile oltre i 30 anni;
C’è una grossa differenza tra la flessibilità, in parte conseguenza del nuovo modo di produrre e di un’ economia globalizzata, i cui costi sono distribuiti e condivisi, divenendo anche una offerta di opportunità; e una flessibilità i cui costi sono scaricati solo sul lavoratore, trasformandosi così in precarietà, non solo lavorativa, non solo economica, ma anche personale e di vita.
Se dovessimo fermarci qui, sicuramente avremmo la necessità di riformulare la domanda – titolo della veglia: questo lavoro è per l’uomo ? E la tentazione di una risposta negativa sarebbe molto forte.
Giovanni Paolo II, sempre nella Laborem Exercens, afferma che “il lavoro umano è la chiave essenziale di tutta la questione sociale” : cogliendolo come invito a riconfermare invece la nostra risposta positiva, un contributo di riflessione importante ci è offerto dal Fondo Famiglia Lavoro, promosso dal Cardinal Dionigi Tettamanzi, del quale sono stati presentati i dati nel convegno della vigilia della Giornata della Solidarietà dello scorso 12 febbraio. Senza soffermarsi su dati particolari, ci sono due aspetti interessanti che valgono anche per la città di Milano. La maggioranza delle richieste di poter accedere al contributo del Fondo sono state presentate nelle zone a maggior disagio sociale, e quasi in pari numero da italiani e stranieri. La maggioranza delle domande riguardavano persone o famiglie nelle quali era assente un lavoro, una occupazione, spesso da molto tempo ma anche da periodi più brevi. Circa il 20 % delle domande erano invece di persone occupate: questi due aspetti rendono ancora più chiaro, perché non sono frutto di aride statistiche, ma del vissuto delle persone, come la perdita del lavoro oggi può portare spesso, e in breve tempo, a condizioni di povertà o di notevole disagio; ma anche mettono in evidenza che, sempre oggi, l’avere un lavoro qualsiasi non rappresenta una garanzia, il tipo e le condizioni di quel lavoro sono fondamentali.
Una lettura in positivo è stata offerta dal nostro Cardinale, che ha indicato una nuova sostanza per la cittadinanza: “ abbiamo bisogno di una con-cittadinanza nuova, basata non più soltanto sulla co-esistenza ma sulla partecipazione o meglio sulla compartecipazione alle finalità, al superamento delle difficoltà, alla vita condivisibile su di un territorio.” Prendendo spunto dalla sua affermazione, mi sembra di poter affermare, anche alla luce della breve analisi svolta, che il lavoro dà cittadinanza ad ogni persona, ma che poter rendere veritiere queste parole sia necessario ridare cittadinanza al lavoro, riscoprirne il senso, assumersi l’impegno e la responsabilità di costruire e cercare le possibili soluzioni.
Mi sembra che si possano mettere in evidenza tre aspetti, che fanno anche riferimento ad alcuni percorsi positivi già in atto.
Per ridare cittadinanza al lavoro è necessaria la compartecipazione alle finalità, la condivisione, il confronto: questo interpella prima di tutto chi ha compiti istituzionali, e penso qui non solo al Governo ma anche alle autorità locali; ma anche al ruolo delle parti sociali, delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro. Giovanni Paolo II nella Laborem Exercens sottolinea il ruolo del datore di lavoro indiretto che non può, soprattutto in condizioni di crisi come l’attuale, esimersi dallo svolgere il proprio ruolo nel determinare un sistema socio-economico che favorisca il lavoro, non può rimanere ai margini della partita e non giocarla attivamente: ha la grave responsabilità di mettere i giocatori nelle condizioni di poter raccogliere la sfida in modo positivo.
Due semplici esempi mi sembra possano spiegare cosa può significare questa con- cittadinanza per il lavoro: in diverse aziende, anche sul territorio milanese, si è riusciti a raggiungere accordi tra datori di lavoro, sindacati e lavoratori che hanno consentito, non senza sacrifici e difficoltà, di mantenere in vita un’impresa in crisi, che diventa così un bene, in qualche modo condiviso e da tutelare, da parte di persone che svolgono comunque e giustamente un ruolo diverso; l’esperienza, la testimonianza diretta e la grande dignità delle famiglie che hanno ricevuto il sostegno del Fondo Famiglia Lavoro sono la dimostrazione che spesso basta un piccolo contributo, la presenza discreta ma solidale, a rendere possibile il riprendere il cammino con una speranza nuova anche nell’affrontare difficoltà che non spariscono certo d’incanto. Il nostro Cardinale invita spesso alla sobrietà come stile di vita, come scelta: ma se la “sobrietà” è subita per cause esterne non può che trasformarsi ed essere definita come povertà, e come tale deve essere affrontata.
Il lavoro dà cittadinanza, ma in modo diverso nei diversi tempi della vita: un giovane che non trova un lavoro, o lo trova solo in modo precario, si sente defraudato del suo futuro, della possibilità anche solo di pensarlo; un/a quarantenne che si è costruito una famiglia, che ha figli, e perde il lavoro si sente defraudato del presente. Le contrapposizioni artificiose tra generazioni sono spesso strumentali e quasi un alibi per non impegnarsi a trovare soluzioni: il giovane di oggi sarà l’adulto di domani, il lavoro gli darà cittadinanza in modo diverso. Ci vuole l’impegno, ancora una volta condiviso, perché i diversi tempi del lavoro non privino nessuno di quelli che gli sono propri; si deve pensare con attenzione al significato dei cosiddetti diritti acquisiti, per evitare che acquisizione per uno sia privazione per un altro, ma si devono anche valorizzare, favorire normativamente anche incentivandole, le esperienze che consentono di trasmettere le competenze del lavoro tra generazioni, nello spirito della con- cittadinanza sopra richiamato.
Infine, riaffermando che il lavoro è per l’uomo, si deve con altrettanta chiarezza dire che l’uomo non è per il lavoro: questo ci riporta al tema dei tempi, che in questo caso sono quelli del lavoro, ma anche quelli della famiglia, della vita. Lo scorso marzo è stato firmato un importante accordo a livello nazionale, tra parti sociali e Governo, sulla conciliazione tra vita e lavoro, nel quale entra in modo esplicito anche la dimensione familiare: in Lombardia, e nel milanese si sono firmati alcuni accordi su questo tema, su part time e orari di lavoro, da ampliare e diffondere, anche se si deve rilevare, stranamente, che sul nostro territorio la Pubblica Amministrazione sembra percorrere la strada inversa, quasi mettendo in contrapposizione i tempi di una persona.
Nel 2012 si svolgerà a Milano il VII incontro mondiale delle famiglie che avrà come tema proprio la famiglia, il lavoro e la festa: proprio in relazione alla relazione tra lavoro e festa è ancora più importante ribadire con forza che la festa non è un prodotto da consumare ma un tempo da vivere.
Giovanni Paolo II sarà beatificato proprio il prossimo 1° maggio, e le sue parole sono la conferma più chiara che il lavoro è proprio per l’uomo: “Il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una per-sona operante in una comunità di persone: questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce la sua stessa natura”.